La strage
Il 12 luglio del 1944, per ordine della Gestapo, furono prelevati dal campo di concentramento di Fossoli 69 internati politici, uomini con diverse esperienze e di età differenti, provenienti da varie regioni dell’Italia; furono condotti al Poligono di Tiro di Cibeno per esservi fucilati e i loro corpi occultati in una fossa comune. L’esecuzione di massa seguiva di poco quella che aveva avuto come protagonista l’autorevole leader del Partito d’Azione Poldo Gasparotto, anche lui proditoriamente assassinato il 22 giugno di quello stesso anno.
La tragedia scoppiò improvvisa, anche se qualcosa di orribile era da prevedersi. Con queste parole Giulio Alonzi, ex luogotenente di Ferruccio Parri, nel 1962 ripercorreva – nel suo articolo Paolo diventa Carriola – la tragica vicenda della strage nazista del 12 luglio 1944.
A tutt’oggi, i motivi di quel duplice massacro non sono chiariti, ma Alonzi, nel corso del suo articolo, non mancava di individuare la ragione di tali crimini efferati nella composizione politica degli assassinati, particolarmente attivi – soprattutto quelli della baracca 18 – anche nel Campo di Fossoli. Essendosi organizzati in “cellule”, essi non avevano infatti cessato di operare clandestinamente all’interno del Campo, attirando in tal modo l’attenzione delle SS. Di più: quasi tutti affiliati ai CLN, erano figure ben note, in quanto si erano distinti per la loro pregressa attività antifascista svolta all’indomani dell’8 settembre. Prima ancora di essere trasferiti a Fossoli, non senza che molti di loro fossero stati ristretti per attività politica nelle carceri – molti a San Vittore – essi avevano militato nelle file della Resistenza, sia pure aderendo a diversi partiti. Ha ricordato non a caso Alonzi: “C’era Poldo Gasparotto con quelli del suo gruppo; c’era il gruppo di Lecco; c’era Vercesi. A Milano s’era fatto il possibile per salvare qualcuno degli internati. Non si ottenne nulla, che io ricordi. Fucilarono Poldo il 22 giugno, ne fucilarono altri 70 [sic!] il 12 luglio”. Di qui la conclusione assertiva dell’articolo: la morte dei 67 doveva essere considerata come una “perdita gravissima per la Resistenza sotto ogni rispetto”.
La sera dell’11 aprile, dopo l’appello, 71 internati furono chiamati e avvisati di prepararsi alla partenza, l’indomani, per la Germania. Dall’elenco iniziale sarà escluso Bernardo Carenini, mentre Teresio Olivelli riuscirà a nascondersi all’interno del Campo.
All’alba del giorno successivo, in tre riprese, i 69 prigionieri sono caricati su camion e condotti al Poligono di Tiro di Cibeno, distante pochi chilometri dal Campo. Sono fatti allineare ai bordi di una fossa, che alcuni internati ebrei sono stati costretti a scavare il giorno prima, e ascoltano la sentenza: condanna a morte come rappresaglia per un attentato a Genova contro militari tedeschi. Una motivazione che la storiografia ritiene incongruente sia per la distanza di tempo e di luogo, sia per la mancanza di qualsiasi notifica pubblica dell’avvenuta rappresaglia e per l’accurato occultamento dell’eccidio, contrariamente alle disposizioni che solitamente erano assunte come macabro monito per la popolazione.
Il vescovo di Carpi Vigilio Dalla Zuanna, accorso sul luogo, tentò una disperata mediazione con i carnefici per il salvataggio delle vittime, che risultò vana: la condanna a morte fu eseguita.
Solo due internati del secondo gruppo, Mario Fasoli e Eugenio Jemina, riescirono a fuggire e a salvarsi nascosti dal movimento partigiano.
Il 17 e il 18 maggio 1945, a meno di un mese dalla liberazione, ha luogo la riesumazione e il riconoscimento delle 67 vittime.
Le esequie solenni si svolgono il 24 maggio 1945 nel Duomo di Milano, con grande e commossa partecipazione di cittadini.
La redazione
Per approfondire:
Alonzi G., Paolo diventa carriola, «Historia» (2) 1962, fasc. 60.
Ori A.M., Bianchi Iacono C., Metella M., Uomini, nomi. Memoria. Fossoli 12 luglio 1944, APM edizioni, Carpi 2004, pp. 15-20, consultabili qui
Baldini F., Fossoli e la Resistenza Lombarda. Leopoldo Gasparotto e Antonio Manzi, Mursia, Milano 2024, pp. 547-66, che riporta numerosi riferimenti a memorialistica inedita ed edita (a cominciare da E. Fergnani, Un uomo e tre numeri, Speroni Editore, Milano 1945)